WWE 2k17

Come ogni anno, dopo l’estate, arriva un nuovo gioco dedicato al wrestling. Una disciplina sportiva molto controversa, nata per dare spettacolo, e dove la competitività è molto più sottile del mero “chi vince su chi”. Il wrestling, però, non va mai in vacanza, tantomeno la WWE on the road ogni giorno dell’anno, e, per questo WWE 2K17, 2K ci propone un viaggio a Supplex City, reame del The Beast Incarnate Brock Lesnar: ne usciremo sul serio tutti interi?
Certe cose non cambieranno mai
Chiunque abbia seguito almeno per un breve periodo la WWE sa bene che il lunedì è il giorno di RAW; per l’occasione, Monday Night RAW. E ciò si perpetua da decenni e così crediamo non cambierà mai. Da circa  vent’anni oramai sono i giapponesi Yuke’s Future Media Creators a gestire i videogiochi con licenza della compagnia di Stamford, sopravvissuti al timone anche dopo la chiusura di THQ ed accasati sotto lo stendardo di 2K, durante il periodo che coincise con il passaggio alle attuali console casalinghe: ai tempi la cosiddetta “Next Gen”. La grande novità fu il notevole miglioramento del comparto grafico, accompagnata da altre ancora in forma embrionale ma ora, che siamo arrivati alle porte del 2017, possiamo finalmente trovare un erede degno di quel Here Comes The Pain che ogni videogiocatore ricorda con nostalgia?
Purtroppo non proprio.

WWE 2K17 non è arrivato a maturazione come noi ci saremmo aspettati e i motivi sono essenzialmente tre: ci sono stati alcuni passi in avanti ma nessuno determinante, ci sono stati dei passi falsi sul cammino e c’è ancora quel caparbio immobilismo su assets che ormai ci sembrano più solidi del marmo. Il problema comune a tutti i titoli Yuke’s – praticamente da sempre – è che permangono quei canoni distintivi del team che non riescono mai a subire una vera svecchiata e che al giorno d’oggi non sono più tollerabili.
Cerchiamo, però, di andare con ordine. Il gameplay è stato leggermente affinato e troviamo quindi delle novità, anche interessanti, che grattano un po’ di ruggine via da alcune meccaniche poco oliate. Parliamo ad esempio della gestione dei match multipli, con la possibilità di stordire uno dei contendenti per un certo periodo,  durante il quale rotoleranno giù dal ring e apriranno un’importante finestra per dare modo a qualcuno di aggiudicarsi la vittoria senza le continue interferenze di tutti gli altri partecipanti. Un altro passo in avanti è l’aver finalmente valorizzato gli aspetti commerciali del gioco, cruciali nella controparte reale di questa disciplina. La paga ora avviene proporzionalmente al merchandising venduto e, soprattutto, alla possibilità di comporre i propri promo sul ring davanti al pubblico. Si tratta di semplici scelte multiple, che determineranno il livello di gradimento tramite le reazioni degli spettatori. Proprio su quest’ultimo è stata fatta anche una distinzione in ben quattro categorie, che si alterneranno durante i vari show e che soprattutto avranno un modo leggermente diverso di reagire ai nostri discorsi. Ciò amplia notevolmente sia la parte psicologica del wrestling, il poter raccontare la propria storia sia con il parlato che con il lottato, sia la possibilità data al giocatore di puntare ad uno stile da idolo buono, o babyface nel gergo, o da vero e proprio heel. L’importante sarà mantenere una certa coerenza e ottenere una reazione forte dalla platea, non importa se questa sia positiva o negativa.
Un altro punto dove è riscontrabile un miglioramento, è l’imponenza del roster: forse il più grande di sempre, comprende (quasi) tutti i protagonisti dei tre show principali, SmackDown, NXT e il già citato RAW. Quei pochi tasselli mancanti, comunque, non rimarranno dei buchi fino all’anno prossimo. Buona parte sarà disponibile come dlc a pagamento, ma, se non volete aspettare o investire, potete ricorrere all’editor che permette oltre alla creazione anche di condividere i propri modelli con il mondo intero online.
Tecnicamente i miglioramenti sono buoni, riscontrabili principalmente nei caricamenti e nel comparto online. In entrambi i casi, però, non si può ancora parlare di perfezione.
Il lato oscuro…
Veniamo però agli aspetti più deludenti del titolo, partendo proprio dal discorso dei contenuti. Ogni anno ci veniva messa a disposizione una modalità Showcase con il compito di narrare storie veramente interessanti, sia per chi le avesse vissute negli anni seguendo gli show sia per chi fosse troppo giovane per averne avuta l’occasione. Ricordiamo l’ascesa della WWE contro la rivale WCW qualche anno fa, o la gloriosa carriera di un’icona come Stone Cold Steve Austin nella scorsa edizione. Quest’anno ci sembrava ovvia una modalità ispirata a Lesnar, e invece scopriamo che non solo non c’è quella dell’ex pluricampione del mondo ma non ce ne sono affatto. Solo come contenuto a pagamento extra sarà possibile, comunque non al lancio, scaricare e giocarne relativa ad alcuni Hall of Famer.
Un’altra pecca piuttosto grave è l’assenza della modalità GM, già nota nel periodo degli SmackDown vs RAW, in virtù del fatto che, da qualche mese, la WWE ha abbandonato la sua struttura a roster unico che si esibisse all’occorrenza in qualunque evento con una nuova brand extension. Questa ha avuto luogo nella prima metà di luglio e ha visto i nuovi Commissioner e General Manager di RAW e SmackDown Live, rispettivamente Stephanie McMahon con Mick Foley a guida del brand rosso e Shane McMahon e Daniel Bryan a guida di quello blu, dividersi tutte le superstar e i titoli, introducendone poi di nuovi, uguali alle controparti ma colorati di blu o di rosso a seconda dello show di appartenenza. In WWE 2K17 non troviamo nulla di tutto questo: né i loghi aggiornati, né le nuove cinture, né altro. Certo, è possibile sopperire tramite l’editor o la modalità WWE Universe e tanta fantasia, ma resta il dispiacere di aver trovato un gioco nuovo ma contenutisticamente già datato, e senza grosse novità.
Tornando al discorso gameplay, oltre a qualche rifinitura come quelle prima citate, permangono i soliti problemi che tutti conosciamo. Le animazioni di ogni colpo o presa sono statiche e non tengono sempre conto delle variabili di posizionamento. Il risultato sono bug di vario tipo, principalmente visivi (come le immancabili compenetrazioni poligonali), o strutturali, come accelerate innaturali per posizionarsi correttamente, oltre che una legnosità che va ben oltre il voler replicare la fisicità e la stanchezza dei performer.
Già con 2K16 muovemmo alcune critiche verso le meccaniche di gioco o alcuni dei contenuti e, dopo un anno, il grosso passo avanti latita. Certi modelli risultano ancora abbastanza sottotono, la platea è anonima e composta sempre dagli stessi e pochi individui che si ripetono ad oltranza, le interazioni con gli oggetti sono molto discutibili, in particolar modo con le corde del ring. Anche gli arbitri rimangono dei fantocci senza personalità e a poco serve che si possa scegliere la divisa se i modelli non rispecchiano quelli che accompagnano i protagonisti sui palchi della WWE.
L’audio invece suona una melodia più che apprezzabile, e i cori che accompagnano le azioni sono ben più che adeguati. Potrete sentire sia quelli dedicati ai singoli atleti, sia evergreen come “this is awesome” oppure il “you still got it” nei confronti dei più anzianotti del roster. Sul discorso telecronaca, invece, potremmo un po’ storcere il naso non tanto per la composizione ancora legata ai tre commentatori storici e ignara delle nuove voci, quanto per una ripetitività delle frasi e una certa flemma nella loro pronuncia con poco ritmo, anche quando l’azione richiederebbe un piglio più incalzante.
…fonte SpazioGames